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La prima fatica dei Krokus
viene qui inserita più per dovere di cronaca che per la sua importanza
storica. Reperire questo vinile, pubblicato nel lontano '76 dalla minuscola
Schnautz, sussidiaria della Phonogram, e mai più ristampato, è
un vero e proprio calvario a cui solamente il collezionasta più incallito
può e deve sottoporsi. Vi consigliamo, a tal fine, la trasferta presso
qualche sperduto negozietto sulle montagne svizzere oppure esiste la possibilità
di fare impazzire il vostro music store di fiducia! Da tutte le parti il
verdetto è unanime e questa prima fatica della band d'oltralpe viene
etichettata come anonima ed orientata verso sonorità hard/prog sinfoniche. Recensione realizzata da Andrea Zazzarini. |
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Vote: S.V. |
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Con l'ingresso di Von Arb,
Naegeli e Steady, tutti provenienti dai Montezuma, un'altra band di Solothurn,
la formazione si stabilizza e questo "To You All", fino a pochi
mesi fa introvabile ed ora disponibile su cd, è il primo full lenght
di chiaro stampo hard rock partorito dai Krokus. Nonostante la copertina
molto aggressiva si tratta prevalentemente di un lavoro ingenuo e acerbo.
L'hard rock proposto dai nostri è ancora "poppeggiante",
inoffensivo ed a tratti imbarazzante, vedasi i coretti doo-wop di "Move
It On" o il blues all'acqua di rose di "Trying Hard". Il
tasso tecnico è scarso e Von Rohr si dimostra più volte non
all'altezza della situazione. Il brano migliore è probabilmente l'opener
"Highway Song", di cui venne girato un video-clip, seguita poi
dalla discreta "Festival", salvata da un buon solo di Von Arb. Recensione realizzata da Andrea Zazzarini. |
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Vote: 5 |
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Con "Pain killer"
si iniziano a sentire i primi progressi: l'album è di poco più
potente del predecessore e si può ritrovare qualche spunto interessante
nel solido heavy-riffing di "Werewolf", di "Pay It!"
e nella zeppeliniana "Rock ladies". Tuttavia i veri Krokus non
sono ancora questi, l'album ha ancora troppi cedimenti a causa di brani
banali come "Get Out Of My Mind" e "Susie". Von Rohr
continua a confermare tutte le sue lacune ed il terribile urlaccio che introduce
"Killler" ne è chiara testimonianza. Cattive notizie anche
sul versante grafico, dato che l'artwork del presente LP è probabilmente
iscrivibile fra i più brutti della storia del rock. "Pain Killer"
permette ai Krokus di ottenere, nonostante le pecche evidenziate, una certa
popolarità anche fuori dai confini svizzeri, soprattutto in Germania
ed Inghilterra. L'edizione americana si intitola "Pay It In Metal"
e propone soluzioni grafiche differenti rispetto a quella europea. Recensione realizzata da Andrea Zazzarini. |
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Vote: 5,5 |
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Il
1979 è l'anno della svolta per i Krokus. Von Rohr, conscio dei suoi
limiti come vocalist, decide di dedicarsi al basso e lascia il microfono
a Marc Storace, di passaporto svizzero ma nativo di Malta. Storace vanta
un passato nei tedeschi Tea, un'interessante band di hard/prog stile Uriah
Heep autrice di 3 albums, tutti molto validi: "Tea" ('75), "The
Ship" '(76) ed il commerciale ma bellissimo "Tax Exile" ('77).
Naegeli, il bassista originario, ufficialmente abbandona il combo svizzero
ma in realtà continuerà a collaborare con i Krokus in veste
di songwriter, produttore ed eventuale tastierista. Con "Metal Rendez-vous"
i Krokus accantonano definitivamente l'hard incerto di "Pain Killer"
a favore di un heavy-rock solido e massiccio ("Heatstrokes", "Come
On", "Fire") di chiara matrice Ac/Dc. Storace si dimostra
un ottimo vocalist, dotato di una voce roca e modulabile, molto vicina a
quella di Bon Scott. Complessivamente tutto il gruppo appare migliorato
tecnicamente così anche i brani più leggeri, come il singolo
"Bedside Radio" o "Lady Double Dealer", non scivolano
mai nel banale. Da segnalare inoltre la bellissima e molto intensa ballata
a titolo "Streamer", nella quale Storace ci regala una delle sue
migliori performances di sempre, e le particolari ed inizialmente disorientanti
influenze reggae di "Tokyo Nights" che finiscono tuttavia per
fare grande presa sull'ascoltatore. "Metal Rendez-vous" otterrà
un ottimo successo, facendo guadagnare ai Krokus un posto nel bill di Reading
insieme a U.F.O., Iron Maiden, Gillan, Whitesnake e Ozzy Osbourne. In definitiva
un album impedibile per gli appassionati di heavy metal ottantiano. Recensione realizzata da Andrea Zazzarini. |
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Vote: 8 |
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"Hardware"
è il degno successore di "Metal Rendez-vous", rispetto
al quale appare più quadrato e spudoratamente Ac/Dc oriented. Il
full-lenght in questione viene aspramente criticato da tutta la stampa di
settore che inizia ad etichettare i Krokus come semplici cloni degli Ac/Dc.
Per chi non ricerca l'originalità a tutti i costi "Hardware"
è comunque un ottimo album, solido e trascinante, che raggiunge i
picchi massimi con il singolo "Rock City", il cui video-clip,
a suo tempo, era costantemente in rotazione su Videomusic, e grazie a brani
ad alto voltaggio quali l'anthemica "Easy Rocker", la sofferta
"Winning Man" oppure la demenziale "Mad Racket". Nonostante
l'avversa opinione dei critici, la popolarità dei Krokus aumenta,
tanto che "Hardware" conquisterà il disco d'oro. Vi segnalo
come questo sia l'ultimo capitolo nel quale possiamo trovare impegnato,
alla sei corde, lo sfortunato Tommy Kiefer che morirà suicida qualche
anno dopo. Recensione realizzata da Andrea Zazzarini. |
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Vote: 7,5 |
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Con "One Vice At A Time"
si viaggia verso una netta evidenziazione delle influenze Ac/Dc ed un accantonamento
delle piacevoli variazioni che rendevano meno monolitici e per certi versi
più appetibili i 2 predecessori; vedasi episodi quali "Tokyo
Nights" e "Streamer", tratti da "Metal Rendez-Vouz",
oppure la già citata "Celebration", estratta da "Hardware".
Ovviamente l'album viene stroncato dai media specializzati, ma i kids amano
i Krokus ed anche "One Vice At A Time" ottiene un ottimo riscontro
di vendite, risultando, da questo punto di vista, un successo. Il tour seguente
toccherà anche l'Italia, dove la band svizzera si esibirà
ottenendo notevoli responsi. I Krokus ci regalano forti vibrazioni rock'n'roll
grazie a "Bad Boys Rag Dolls", "Save Me" e alla grandiosa
"Long Stick Goes Boom", un brano che ancora oggi "spacca
il c***", incurante dell'usura del tempo. Non male la cover di "American
Woman", recentemente riportata al successo da Lenny Kravitz. Recensione realizzata da Andrea Zazzarini. |
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Vote: 7,5 |
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L'anno seguente è la
volta di "Headhunter", l'album che permette ai Krokus di raggiungere
l'apice della notorietà conquistando addirittura il disco di platino
negli States. I Krokus modificano leggermente la formula seguita nei precedenti
lavori, eruttando il loro migliore lavoro di sempre. I brani sono più
veloci, le sonorità più metalliche e spesso Judas Priest oriented.
Non è un caso che la produzione sia affidata a Tom Allom, storico
produttore dei Priest, e che in "Ready To Burn" sia presente ai
cori, in veste di special guest, Rob Halford in persona. Pure in questo
capitolo l'originalità viene di gran lunga messa da parte, tuttavia
le songs risultano veramente memorabili e "sciabolate" come la
title-track, "Nightwolf", "Ready To Burn" o "Russian
Winter" risultano capaci di smuovere anche i morti. Si prosegue con
l'eccellente, lunga e sofferta, ballata a titolo "Screaming In The
Night" e la cover dei Bachman-Turner Overdrive "Stayed Awake All
Night". La brillante "Eat The Rich" è il singolo prescelto,
ed è probabilmente il brano più vicino allo stile classico
del gruppo con palesi citazioni alla band degli indemoniati fratelli Young.
"Headhunter" convince per la prima volta la critica, le recensioni
sono positive ed il seguente tour di supporto ai Judas Priest è un
vero e proprio trionfo. Purtroppo l'ottimo successo ottenuto negli States
spingerà i Krokus ad "americanizzare" il loro stile, nel
tentativo di conquistare definitivamente il ricco mercato americano, con
risultati facilmente intuibili. Chris Von Rohr, in disaccordo con i compagni,
abbandonerà la band alla fine del tour. Recensione realizzata da Andrea Zazzarini. |
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Vote: 9 |
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Ecco l'album della svolta americana
intuibile fino dalle foto del retro copertina nelle quali i nostri sfoggiano
un look particolarmente "truzzo" e Von Arb mostra fiero la sua
criniera tinta di biondo. In questo full-lenght l'heavy rock roccioso degli
album precedenti viene accantonato a favore di un hard-pop annacquato e
ben poco efficace. Brani quali "Out To Lunch" o "Boys Nite
Out" sono veramente la fiera delle banalità, mentre risultano
leggermente superiori il singolo "Midnite Maniac", accattivante
quanto basta, e la cover di "Ballroom Blitz" degli Sweet, tutto
sommato ben eseguita. Per ritrovare i veri Krokus bisogna però affidarsi
all'irruente "Hot Stuff", alla veloce "Out Of Control"
ed alla melodica e conturbante "Our Love (Will Never Die)". Davvero
troppo poco per un album che al posto di bissare il successo di Headhunter
finisce per deludere di gran lunga ogni aspettativa portando il pubblico
europeo a voltare letteralmente le spalle alla band di Storace e lasciando
indifferenti i fans statunitensi che accolgono "The Blitz" con
atteggiamento freddo e distaccato. In compenso Storace riesce a far parlare
di se grazie ad alcuni simpatici "scambi di opinione" con Vince
Neil dei Motley Crue e Joe Elliott dei Def Leppard. Recensione realizzata da Andrea Zazzarini. |
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Vote: 6 |