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Non posso nascondere di essere rimasta un po' interdetta quando ho ascoltato
per la prima quest'ultima fatica targata Skid Row. Intanto consiglierei
a Bolan e soci di cambiare nome, per evitare delusioni o malintesi: così
sarebbe più facile per loro tagliare i ponti con tutto quello che
vorrebbero lasciarsi alle spalle (compresa l'ingombrante figura dell'ex
vocalist), e per chi li ascolta esprimere un giudizio il più obiettivo
possibile. Infatti, le mie prime impressioni sarebbero state meno perplesse
e forse più entusiastiche se non avessi saputo che si trattava
di loro. Non ha molto senso mantenere un nome che inevitabilmente riporta
alla mente un certo tipo di sound, arrangiamenti, vocalità e testi,
quando in realtà ci si vorrebbe presentare diversamente. Chiunque
li ami o ne abbia a malapena sentito parlare, sarebbe meglio che dimenticasse
di avere a che fare con la band di "Skid Row" e "Slave
To The Grind", perché questo Thick Skin è un'altra
cosa. Era immaginabile che la doppia defezione di Sebastian Bach alla
voce e di Rob Affuso alle percussioni (rispettivamente rimpiazzati da
John Solinger e Phil Varone, quest'ultimo proveniente dai Saigon Kick)
avrebbe cambiato le cose, ma forse il salto da quei due albums, vere e
proprie perle, uscite rispettivamente nel '89 e nel '92, all'attuale del
2003 è davvero troppo lungo. Lo sarebbe già meno se si considerasse
Subhuman Race ('94), ultimo per altro discutibile lavoro firmato dalla
line-up originale, a cui però, songs come "Swallow Me"
e "Lamb" sembrano attingere. E' vero pure che il nome Skid Row
è una garanzia, ma è ancora più vero che raccogliere
l'eredità lasciata da un frontman come Bach era un lavoro sporco,
che qualcuno doveva pur fare, e, a proposito, trovo che il texano Solinger
sia perfetto per il genere che la band attualmente propone. Ma qui viene
il bello: cosa sono diventati gli Skid Row adesso? Una rock'n'roll band
con sfumature punk? Un cosiddetto cross over che vuol dire tutto e niente?
Non saprei, ma ho avuto come la strana sensazione che alcune tracce avessero
un non so che di già sentito. L'intro di "New Generation",
la base ritmica, l'attacco delle chitarre, le parti di basso e il ruggito
del nuovo lead singer fanno quasi venire in mente i Marilyn Manson di
"The Beautiful People" o di "Disposable Teens" almeno
per le strofe, mentre il ritornello, molto "catchy" è
facile da ricordare e canticchiare. Per quanto riguarda i pezzi più
lenti, mi duole ammettere che hanno perso lo smalto delle struggenti vecchie
ballads, rivelando a tratti un rock talmente "light", da scadere
quasi nel pop. Eppure mentre li ascolto la mia mente viaggia libera, segno
che le nuove sonorità potrebbero essere un'ottima soundtrack per
chi si lascia trasportare tra i meandri dei pensieri, e così, ad
un tratto, mi pare che anche "Ghost" abbia un gusto già
assaporato, forse di un pezzo dei Goo Goo Dolls
L'album è
comunque gradevole, e dopo più di un ascolto rischia di piacere
davvero, ma la sensazione di confusione iniziale potrebbe essere l'effetto
collaterale più comunemente riscontrabile tra gli estimatori della
storica formazione. Ai fans mancheranno certamente gli acuti di Bas (in
un'epoca in cui il protools non era ancora quella meraviglia della tecnologia
che oggi permette a qualunque ugola di profondersi in virtuosismi inimmaginabili)
o gli splendidi assolo dei cavalieri delle sei corde Snake e Hill (che
facevano venire i brividi specie in "18 And Life", "In
A Darkned Room" o "Wasted Time") nonché l'ironia
dei testi e l'impatto di pezzi come "Here I Am", "Rattle
Snake Shake" o "Sweet Little Sister", e, soprattutto, dell'indimenticabile
"Get The Fuck Out". Ma il passato è ormai andato, e credo
che gli attuali Skids vogliano insistere proprio su questo, non lo rinnegano,
e del resto perché dovrebbero, infatti si sono divertiti a coverizzare
la mitica ballad "I Remember You", riarrangiandola in uno spiazzante
e tuttavia divertente veste punk! Questo è ormai il tempo delle
già citate "New Generation" (che sembra la naturale prosecuzione
del discorso intrapreso con "Youth Gone Wild": "We're all
part of a new generation/ sold our souls to the next temptation/ lead
us not to our own damnation", e funziona perfettamente come potentissima
apertura), di "Ghost" e "Swallow Me", della più
easy e cantabile "Born A Beggar", di " See You Around"
(che potrebbe perfino sembrare un singolo dei The Calling!) di "One
Light", ballata in stile Bon Jovi targato These Days, specie nel
refrain, ed ovviamente, di "Thick Skin" (che, pur essendo la
title track, mi sembra meno trainante di altre) la metafora tramite la
quale i cinque rockers vorrebbero confermare che loro la pelle dura ce
l'hanno davvero, dimostrandolo tentando di gettare le basi per un futuro
luminoso almeno quanto il loro passato. |
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