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E con prolificità tedesca,
un album allanno, o giù di lì, ritornano i vecchi Rage
che dopo le svolte sinfoniche di XIII° (98) e di Ghost
(99) sembrano confermare, dopo il precedente Welcome to the
other side (01), la volontà di ritornare su sentieri
più tradizionali e metallici. Il contenuto di questo dischetto dimostra
che le varie esperienze fatte in carriera hanno lasciato segni più
o meno evidenti nella stesura dei pezzi, ma il termine di paragone più
accentuato mi sembra quello di End of all days (96). Quindi
songs mai troppo veloci, supportate da una buona potenza di base, da rare
incursioni nei territori power-thrash di The missing link(93)
e spesso baciate da aperture melodiche facilmente memorizzabili, nei pressi
dei refrain. Linee vocali dal tipico timbro caldo e sporco di Peavy, ma
mai oltremodo agressive. Loperato del funambolico Victor Smolsky alla
chitarra e di Mike Terrana, la nuova incarnazione dellultimo dei moicani,
dietro ai tamburi lascia il segno nel bene e nel male. Se da un lato i due
mostrano capacità tecniche al di fuori della media conferendo un
tocco personale ad Unity (a vedere le prestazioni dei 2 in sede
live si rimane senza fiato!), dallaltro non sembrano avere nel loro
DNA il gusto per il power metal dautore. Insomma i Rage sembrano avere
perso quella coesione ritmica squassante che possedevano ai tempi di Chris
Efthimiadis (drums) e Manni Schmidt (guitar, attualmente nei Grave Digger),
forse 2 musicisti minori in quanto a tecnica ma cresciuti a pane e crauti
nei dorati anni 80! Sarà che sono interista ma a mio modesto parere
meglio un gruppo veramente affiatato che non gli spunti solisti di campioni
che tengono su la baracca mascherando unaridità di idee del
tutto normale dopo 20 anni di onorata carriera. Tuttavia questappunto
non rende inappetibile un album nel quale potrete trovare nuovi Rage-anthems
quali Set this world on fire, World of pain e il
nuovo inno supremo All i want che, sulla falsariga di Higher
than the sky, ci propone ritmiche marziali, riffs granitici e ritornello
tutto da cantare. Oppure tracks più agressive come Seven deadly
sin e riferimenti allo stile dei Therion con la gotica Dias
irae e il suo maestoso coro. Ovviamente non manca nemmeno lo strumentale
di lunga durata, ovvero la title track, che esula dal contesto generale
e sembra una prova di abilità esecutiva dalle tinte neoclassiche
da parte dei due loschi figuri precedentemente citati! E a mettere fine
alla prova non poteva mancare la ciliegina sulla torna, vale a dire lo sclero
di questi prodi impegnati nellimitazione degli animali della vecchia
fattoria. Se siete alle prime armi vi consiglio lacquisto di The
missing link, ma se non ve ne frega una mazza dei miei consigli procuratevi
questo Unity, un prodotto senza infamia e senza lode. Passo
e chiudo! Recensione Realizzata da Bruno Rossi. |
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Vote: 7,5 |