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Dopo avere assistito alla calata italiana dei Pretty Boy Floyd, ed averli ascoltati durante l'esibizione milanese, avevo dato spacciata la carriera dei 4 rock'n'roll outlaws. Ora mi ritrovo fra le mani questo come-back di sole 10 songs, e se da un lato i fasti di "Leather Boys With Electric Toys" (1989, MCA) sono ancora lontani, dall'altro si hanno alcuni segnali di ripresa che lasciano ben sperare per un futuro prossimo. Dopo avere dato un'occiata alla convincente copertina, si parte con "Dead" che colpisce nel segno grazie alle sue ritmiche veloci e alla voce aggressiva di Steve Summers, unico sopravvissuto della formazione originaria. "Suicide" alterna parti riflessive con momenti più robusti sottolineati da discrete linee melodiche. Tuttavia l'elementare inserto di tastiere inserito sul finire della song è oltremodo spiazzante e risulta, anche a livello di arrangiamento, slegato dal contesto generale della canzone. "I've got nothing" sembra uscita da qualche vecchio nastro dei tempi d'oro, grazie ad un riffing energico ed ai coretti tutti da gustare. "Earth girls" potrebbe benissimo finire come bonus track, o forse meglio dire come filler, su qualche album degli Shameless. Le voci sdoppiate all'altezza del refrain non risollevano le sorti di una song che non mi dice assolutamente nulla. Fortunatamente "Things i said" vendica in parte la precedente prestazione e si prosegue sulla giusta via con "Another day ("In the death of America)", capace di sfoderare una certa dose di rabbia sino ad ora sopita ed una prova almeno sufficiente della chitarra solista affidata a T'Chad. "2Heads2Faces" vorrebbe rispolverare i fasti dei grandi lenti in stile "I wanna be with you" ma la missione fallisce miseramente, con buone probabilità questa è una delle song più scialbe e sciatte che abbia mai ascoltato. Un monotono tappeto di chitarre acustiche sulle quali la voce di Steve sembra jammare senza capo ne coda! "Fuck the rock", già presente sul promozionale del tour europeo, si dimostra la song più completa e matura dell'intero lavoro, e grazie a lei, dopo avere perso quasi ogni speranza, riesco finalmente ad ascoltare una song strutturata con criterio e con linee vocali indubbiamente accattivanti. "727" riesce in parte nell'impresa miseramente fallita da "2Head2Faces", ma il vecchio pathos rimane, anni luce, distante. Si chiude con "It's Alright", veloce e cattiva al punto giusto. La resa sonora complessiva è guastata da una produzione non all'altezza. Come vi avevo preannunciato "Size Really Does Matter" è un dischetto di dubbio valore, non un fallimento totale, ma nemmeno ciò che può rendere felici coloro che hanno conosciuto i Pretty Boy Floyd di un tempo, escludendo ovviamente i fanatics, i quali facendosene beffa delle mie parole, si accaparreranno questo "Size Really Does Matter" in fretta e furia. Recensione realizzata da Bruno Rossi. Ho tra le mani un CD che sinceramente sapevo in preparazione, ma non
conoscevo assolutamente nulla riguardante l'uscita. Si tratta di "Size
Really Does Matter" dei mitici Pretty Boy Floyd! Dopo ben 15 minuti
di trepidante ansia, servitimi a raggiungere il negozio di fiducia, non
vedevo l'ora di mettere questo nuovo full-lengt nel lettore. Se da una
parte c'era la gran voglia di risentirli all'opera dopo il fantastico
"Leather Boyz With Elettric Toyz", dell'ormai lontano 1989 ed
a mio parere capolavoro essenziale del glam, dall'altra esisteva la grande
paura di avere una brutta delusione, come spesso è capitato con
i grandi ritorni, vedasi Britny Fox! La copertina promette bene ed una
volta inserito il dischetto e premuto play tutto sembra partire con il
piede giusto. La cazzuta "Dead", fa subito capire quali saranno
le sonorita' del disco per poi lasciare spazio alla più calma "Suicide"
con una sorta di assolo al pianoforte che mi spiazza leggermente. Da "I've
Got Nothing", fino ad arrivare a "Another day (In The Death
Of America)", "Size Really Does Matter" si mantiene su
livelli molto buoni soprattutto dal punto di vista del cosiddetto "Tiro".
"2Heads2Faces" non mi entusiasma particolarmente, e viene presto
dimenticata con la bella "Fuck The Rock", una delle mie song
preferite dell'intero lavoro. Ecco la ballata "727", che ci
ridona i Pretty Boy Floyd più romantici, e per finire "It's
Alright" che chiude questo ritorno. I suoni di questo come-back non
mi hanno assolutamente convinto: batteria scialba, chitarra poco incisiva.
Bisognerebbe valutare con attenzione se questo sia dovuto ad una produzione
approssimativa o se ad una ben precisa scelta della band. Speriamo che
questo capitolo sia il trampolino di lancio per un ritorno in grande stile,
quello che noi tutti amanti del glam metal ottantiano vorremmo! Recensione realizzata da Leonardo Panzanaro. |
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