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Il ritorno sulle scene del
Duca Bianco per eccellenza è senzaltro stato uno dei più
importanti eventi musicali degli ultimi mesi, tuttavia prima di fornirvene
un approfondito resoconto ho preferito aspettare un tantino. Magari vi chiederete
il perchè di questa scelta (o magari non ve ne frega nulla, in ogni
caso sono tenuto a darvi una spiegazione), ed è presto detto: Heathen
non è un disco facilissimo. Lampante il fatto che ancora una volta
il Duca ci abbia giocato uno dei suoi consueti scherzetti, ma daltronde
nessuno era capace di prevedere come avrebbe suonato questalbum, dopo
che in passato Bowie ci ha regalato esattamente ciò che nessuno si
aspettava (vedi ad esempio Earthlings, riuscito esperimento
sonoro nel quale esplorava in lungo e in largo le ultime tendenze, dallelettronica
al Jungle). Legregio Mr. Jones (questo, per chi non lo sapesse, il
cognome di Bowie allanagrafe) stavolta si lascia alle spalle gli estremismi
di quel tipo di sperimentazione, ma non per questo finisce col regalarci
la classica minestra insipida che ci si può aspettare da un artista
dato da più parti per finito. Piuttosto ci troviamo di fronte ad
un bello schiaffo morale per replicare a tutti i serpenti che lhanno
criticato negli ultimi anni. Ha ribadito di essere ancora in una forma smagliante,
uscendo sul mercato con un disco rock moderno, dalla produzione ineccepibile
(e dietro il banco cè da segnalare il ritorno del guru Tony
Visconti), che riesce a fare sì uso di samples ed altre finezze tecnologiche,
bilanciando però il tutto con un altrettanto raffinato utilizzo degli
strumenti classici, giusto per ricordarci da dovè
che viene il rock nroll. Sunday ci introduce al disco
in maniera abbastanza rilassata, mentre songs come Afraid, I
Would Be Your Slave e I Took A Trip On A Gemini Spaceship
ci mostrano il lato più modernista di questo nuovo Bowie, ponendolo,
come si diceva, in un contesto che partendo dal rock classico abbraccia
piacevolmente sonorità più sintetiche. Cactus,
cover dei Pixies, è invece uno di quegli episodi a presa rapida,
dal ritornello facilmente memorizzabile, ma che coi suoi 3 minuti scarsi
di durata finisce proprio sul più bello, quando ormai eravamo pronti
ad esplodere anche noi con lennesimo refrain, ma daltronde con
uno come lui dobbiamo essere pronti a tutto. E non abbiamo parlato ancora
degli episodi più clamorosi del disco, in pratica quando il buon
David finalmente torna a dare uno sguardo al suo glorioso passato, facendo
riaffiorare in un suo lavoro, cosa che da tempo immemore non accadeva in
maniera così esplicita, chiare influenze del suo periodo Glam, non
tanto visivamente, quanto musicalmente. Non si tratta naturalmente di semplice
rivisitazione, da lui ci si aspetta ben altro, e così è: canzoni
come Slip Away, Slow Burn ed Everyone Says
Hi attingono a piene mani dal repertorio malinconico/decadente dei
primi seventies, naturalmente rileggendo il tutto in unottica fresca
ed attuale che non può far altro che entusiasmarci. Chiudono il disco
altri due episodi notevolmente particolari, vale a dire A Better Future,
song molto ancorata agli stilemi degli anni ottanta, tanto che in alcuni
punti sembra quasi di ascoltare qualcosa dei Cure, e la title-track, che
se vogliamo si propone come lepisodio più sperimentale e difficilmente
catalogabile del lotto. Alla fine possiamo sicuramente affermare che un
tipo come lui non aveva più nulla da dimostrare a nessuno, anzi,
ciò che ha fatto negli anni passati è valso più di
mille parole a riguardo, quindi poteva benissimo ignorare tutto e tutti
campando di sola rendita. tuttavia, fintanto che la sua verve artistica
gode della tanto invidiata capacità di reinventarsi rimanendo fedele
ad una linea, restando così fresca ed inattaccabile dalle rughe del
tempo, a noi non resta che inchinarci al cospetto del Duca Bianco, lultimo
vero nobile del rock nroll. Recensione Realizzata da Tony Aramini. |
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